New Economy

LA SOCIETA' DELL'INFORMAZIONE E DELLA CONOSCENZA E L'ECONOMIA DIGITALE

di Carlo Addabbo

La Società dell'Informazione costituisce una sorta di terza rivoluzione industriale: i nuovi strumenti di comunicazione, trasmissione, elaborazione e utilizzo delle informazioni hanno attuato una trasformazione industriale simile a quelle apportate dal treno o dall'elettricità, offrendo nuove opportunità e nuovi scenari di sviluppo.

A partire dagli anni Novanta, la crescente possibilità di gestire digitalmente l'informazione in tutte le sue forme e la crescente velocità di trasmetterla attraverso internet hanno dato vita ad una "nuova economia". La cosiddetta new economy è frutto di ondate successive di innovazione tecnologica, iniziate sistematicamente negli anni '60 nel campo dell'hardware, proseguite poi con l'evoluzione delle architetture di elaborazione dei dati e il crescente sviluppo di software per ogni tipo di applicazione, evolvendosi negli anni '90 e 2000 con l'introduzione e la diffusione dei browser commerciali per la navigazione in internet: questo ha consentito a milioni di persone e alle aziende di connettersi alla Rete per gli scopi più svariati; l'attuale punta di diamante di questa evoluzione, soprattutto per le pubbliche amministrazioni e le aziende, è l'intelligenza artificiale e l'incremento delle applicazioni software che sono sempre più interattive e caratterizzate dall'usabilità e dall'internet delle cose (IoT). Gli algoritmi ed il pensiero computazionale assumono via via sempre maggiore importanza in tutti i modelli digitali di rappresentazione del mondo e delle attività dell'uomo, nel contempo, i dati sono sempre più "big data" messi democraticamente al servizio delle comunità.

Si deve altresì notare come la componente fisica ed elettronica dell'elaborazione automatica si è evoluta nel tempo con i sistemi di integrazione sempre più ridotta dei componenti nelle schede di silicio (miniaturizzazione) ed oggi, la ricerca e le sperimentazioni portate avanti da importanti produttori mondiali, si sposta verso le architetture parallele ed il quantum computing per il quale l'informazione si connota con il probabilistico "qubit" (quantum bit) superando il già conosciuto e deterministico bit.…

Tuttavia, è anche facile notare come l'evoluzione delle tecnologie dell'informazione ha spostato l'ago della bilancia sulla componente immateriale ovvero il software. Esso ha preso quasi completamente la scena a discapito dell'hardware. In realtà, a ben vedere, il software è la risorsa che può essere usata dalla maggioranza delle persone per scopi di produzione, di comunicazione, di salute, di erogazione dei servizi pubblici e tanti altri: dopotutto, il funzionamento delle applicazioni software è immediatamente "visibile" agli utilizzatori e, dunque, il software è la risorsa sui cui si punta maggiormente. Basti pensare ai progetti di ricerca industriale e di sperimentazione con i quali si studiano e si sperimentano soluzioni innovative basate sempre più sul digitale, sull'intelligenza artificiale, sulla integrazione dei dati e dei processi automatizzati…Approfondendo però, si scopre che il software, che diventa sempre più evoluto, performante e mirato alla soluzione pragmatica dei problemi dell'umanità, necessita di sistemi ed architetture tecnologiche altrettanto evolute e al passo con le esigenze. Si pensi anche alla necessità o alla possibilità per una organizzazione di non gestire in casa la complessità delle componenti che sono soprattutto hardware e piattaforme di base (le piattaforme, le infrastrutture di elaborazione e spesso le basi di dati), potendole delegare al cloud, e invece poter concentrare le energie e le decisioni sul proprio core-business, ben supportato dalle applicazioni software. Oltre a ciò, il mondo in cui viviamo è permeato di prodotti digitali che sono in continua evoluzione e che fanno parte della quotidianità o lo sono per divenire (cellulari e prodotti per la comunicazione, domotica, automotive, robot per la sanità, droni, agricoltura di precisione, ecc…). Dunque, software ed hardware nella corsa dell'innovazione tecnologica vanno di pari passo perché uno richiede l'altro. Tutto questo porta ad un processo di innovazione che è diventato ineluttabile: esso però va perseguito con consapevolezza a livello dei singoli e a livello sociale per una condivisa accettazione.

Fatto questo breve preambolo sull'evoluzione dell'ICT (Information and Communication Technologies), è interessante analizzare il rapporto tra queste e la new economy o economia digitale nel contesto della Società dell'Informazione e della Conoscenza.

Il concetto di new economy cominciò a diffondersi proprio con la tappa degli anni '90 di questo processo innovativo: la prima occorrenza del termine si ritrova in un articolo tratto dal quotidiano The Wall Street Journal, dedicato all'economista Paul Romer dell'Università di Stanford (https://www.stanford.edu/~promer), secondo il quale un'economia basata sulle idee segue inevitabilmente delle leggi diverse da una basata sui beni materiali. Nella new economy, le tecnologie dell'informazione e della comunicazione rappresentano input e output fondamentali del sistema produttivo, indipendentemente dal settore di riferimento: le ICT ed il modello di utilizzo dell'informazione che queste introducono incidono su tutte le fasi del ciclo economico aziendale: dall'organizzazione aziendale e del lavoro, al ciclo di vita del prodotto, all'accesso a basi di dati e servizi in rete e alle nuove modalità di comunicazione e consumo

Peraltro, Il concetto di Società dell'Informazione nasce da quello di "new economy" come generalizzazione degli effetti di una trasformazione che dal settore economico investe anche quello sociale e culturale. Il termine è stato utilizzato per la prima volta nel 1993, nel Libro bianco su crescita, competitività e occupazione, il cosiddetto "rapporto Delors", in cui si suggerisce di sostituire il concetto di "autostrade dell'informazione" proposto negli Stati Uniti, con quello di "Società dell'Informazione" che meglio rispecchia le trasformazioni sociali, oltre che economiche, in corso a livello mondiale.

Il potenziale offerto dall'interscambio rapido ed efficace di dati tra individui e tra organizzazioni, indipendentemente dai limiti temporali o geografici, disegna nuovi modelli sociali, economici e culturali, al centro dei quali vi è lo scambio di conoscenza. Nella Società dell'Informazione, la merce più preziosa è quindi l'informazione, che diventa l'elemento chiave che caratterizza la maggior parte dei processi economici e sociali. L'informazione diventa il quarto fattore della produzione, accanto al capitale, al lavoro e alla terra, e la capacità di immagazzinarla, analizzarla e trasmetterla quasi istantaneamente, ovunque e a costi ridotti ne costituisce il valore aggiunto. Il paradigma economico della perfetta informazione si sposta quindi dall'avere accesso all'informazione alla capacità di usarla.

Per capire cosa sia la Società dell'Informazione bisogna tornare indietro nel tempo, sino al 1973. In quell'anno Daniel Bell, un professore di sociologia alla Harvard University, dava alle stampe un fortunato libro intitolato "The Coming of Post-Industrial Society". In quel volume lo studioso americano coniava un termine "società post-industriale" che sarebbe stato ripreso per indicare le società moderne che, giunte al culmine dell'industrializzazione, concentravano sforzi, capitali e forza lavoro nella produzione di servizi immateriali anziché di beni tradizionali. L'economia dell'informazione, come Bell chiamava quella allora in auge, opponendola alla più tradizionale economia dei beni, non avrebbe soppiantato la società industriale - proprio come l'avvento dell'industria non aveva distrutto i settori agricoli - ma l'avrebbe profondamente trasformata.

Spostare risorse dall'hardware al software, dalla realizzazione alla concezione, avrebbe comportato, secondo l'autore, l'aumento della centralità delle conoscenza teoriche e della scienza. Questo avrebbe favorito l'espansione della classe degli esperti, la creazione di nuovi meccanismi meritocratici e la crescita di differenti unità politiche elementari all'interno delle società giunte a questo stadio di sviluppo. Lo spostamento delle risorse dalla produzione dei beni a quella dei servizi avrebbe modificato profondamente il lavoro, favorendo per le donne, le grandi escluse dall'industrializzazione, un nuovo ruolo produttivo.

Il concetto di Società dell'Informazione nasce sulla scia delle intuizioni di Bell e, almeno in parte, ne riprende l'eredità . Al centro del nuovo sistema produttivo vi è l'attività di raccolta, elaborazione e trasferimento delle informazioni, nelle fasi di evoluzione viste. Ma l'informazione non necessariamente genera servizi e cultura. Per questo, in Europa, la Commissione rifiutò il determinismo tecnologico insito nel concetto nord-americano … di "autostrade dell'Informazione" ed è andata oltre: nasce il paradigma della distribuzione dei servizi di comunicazione, con l'obiettivo di mettere in grado aziende e cittadini di utilizzare le nuove tecnologie e opportunità.

Questo obiettivo sarebbe poi stato raggiunto, nel corso degli anni successivi, soltanto grazie a legislazioni armonizzate che hanno liberalizzato i mercati delle telecomunicazioni. Si dispiega, così, un ruolo nuovo delle tecnologie per le imprese e la crescita di nuove competenze del personale, orientate maggiormente verso la produzione di servizi, il controllo digitale dei reparti di lavorazione, l'integrazione di dati e dispositivi fisici.

La vera competitività dei sistemi nazionali, così come di quelli locali o aziendali, passa sicuramente per la capacità di prevedere le innovazioni anziché adattarvisi. Per vivere e lavorare nella Società dell'Informazione è palese la necessità di conoscenze incrementali. La formazione, per molto tempo relegata alla parte iniziale della vita, deve espandersi sul suo intero arco. In assenza di una formazione continua, ma anche senza una universalità dei servizi di comunicazione, le nuove tecnologie genereranno atomizzazione anziché integrazione. Si ripropone, quindi, il dilemma previsto da David Bell: come tenere insieme una società in cui aziende, istituzioni e individui costituiscono i nodi di una rete estremamente complessa e in cui le comunità sono virtuali prima che fisiche. In altri termini, la questione da porsi è come costruire e mantenere in maniera adattativa le reti comunicative e pragmatiche tra soggetti che condividono gli spazi virtuali dove l'informazione o la conoscenza è il bene comune che incide in maniera preponderante sulla vita civile, sociale ed economica. Oggi è auspicabile che le comunità ed i territori manifestino una nuova identità, quella legata al sapere essere al passo coi tempi e con le innovazioni (soprattutto digitale), affiancandole al genius loci, ai localismi e alla cultura umanistica senza pretesa di sostituire tutto ciò, per poter facilitare l'inclusione e la sostenibilità nelle evoluzioni sociali ed economiche, soprattutto nelle periferie e nei luoghi di emarginazione. La new economy, l'economia digitale, non potendo prescindere dall'innovazione tecnologica e dal valore dell'informazione quale bene comune, non può non basarsi che su una visione uomo-centrica per la quale i comportamenti dei singoli e delle organizzazioni pubbliche e private devono perseguire il bene della collettività che, essendo sempre più connessa, ha bisogno di non lasciare nessuno indietro, pena la alterazione della rete socio-economica ed i cui effetti potrebbero dispiegarsi negativamente come un boomerang, decretando anche il fallimento dello scopo dell'innovazione tecnologica.

Dalle reti di connessione sociale, grazie all'informazione ed alle infrastrutture tecnologiche, si genera maggiore conoscenza quale patrimonio strategico per tutti, ma subentrano nuove problematiche che è necessario affrontare senza né allarmismi e denigrazione delle tecnologie né con eccessivo entusiasmo riposto sulle loro potenzialità. Dunque, il nuovo eco-sistema indotto dalla economia digitale dovrebbe contare ragionevolmente su:

  • Visione strategica dell'innovazione.
  • Incremento della ricerca e della sperimentazione, con un corretto accesso ai programmi di incentivazione e di agevolazione per le imprese che vogliano investire in innovazione.
  • Accesso paritetico per le imprese e per i cittadini alla conoscenza delle tecnologie abilitanti ed ai nuovi processi produttivi e di connessione delle informazioni.
  • Capacità di investimento e di governance dell'innovazione da parte delle pubbliche amministrazioni, basando le scelte strategiche sia sui fattori locali che sulle linee guida e standards nazionali ed internazionali, tralasciando progetti infattibili per complessità o non misurabili.
  • Perseguimento ed investimenti sui piani di formazione continua, da dispiegare ai singoli e a livello delle organizzazioni.
  • Regolamentazione nazionale ed internazionale sull'uso delle tecnologie, soprattutto quelle basate sull'intelligenza artificiale.
  • Comunicazione efficace per sensibilizzare ed aumentare la consapevolezza sulle nuove categorie di rischio e le implicazioni legali correlate con la Società della Conoscenza.
  • Rafforzamento dell'insegnamento dell'etica digitale e dell'educazione civica digitale nelle Scuole, nelle Università, nelle Aziende ed Organizzazioni Pubbliche, nei luoghi di comunità per adulti, giovani e ragazzi, quali strumento culturale per aumentare la consapevolezza finalizzata all'accettazione sociale delle innovazioni tecnologiche.

Infine, l'ultima osservazione sull'argomento la dedico al Paese Italia e alla sua capacità di essere sì creativo e preponderante in alcuni mercati, ma di rimanere, purtroppo, al traino in altri: uno di questi, di cui non siamo certamente protagonisti, riguarda proprio il concept delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Infatti, mentre in certe parti del mondo una visione lungimirante fa si che si pensino e poi si costruiscano le tecnologie per guidare ed orientare la globalizzazione dell'economia digitale, il nostro Paese si limita soprattutto ad importarle. Perché, invece, ormai da decenni, non si è investito o si è dato spazio alla ricerca e alla produzione di tecnologie abilitanti ed alle infrastrutture digitali, potendo ricorre alle stesse qualità di creatività che si sono manifestate per altri settori e far diventare così l'Italia motrice della economia digitale mondiale con una propria proposta nazionale ? Dopotutto, un glorioso passato c'è stato, pensando alla Olivetti ! Tanto sarebbe ancora più auspicabile in considerazione del fatto che il nostro Paese eccelle per competenze scientifiche, ingegneristiche, economiche ed imprenditoriali delle risorse umane che nella new economy lavorano, ma che utilizzano soprattutto tecnologie di Paesi terzi o che, a volte, sono costrette ad emigrare all'estero dove trovano terreno fertile per lo sviluppo personale, professionale ed economico.

Naturalmente, in questo scritto mi sono riferito all'innovazione del comparto digitale e non ad altri, sebbene tra di essi ci possano essere forti correlazioni. Dunque, la new economy di cui parlo è strettamente legata alle tecnologie ICT, pertanto, l'analisi che ho inteso avviare riguarda il modello di innovazione digitale, con particolare riferimento a quello dell'Italia che fa fatica a far emergere un proprio sistema di sviluppo tecnologico, ma nella quale, tuttavia, si possono annoverare altri modelli di sviluppo con eccellenze che hanno generato innovazioni in svariati altri campi, tra i quali, quello della moda, dei prodotti eno-grastronomici, dei beni di lusso e delle auto, ed altri ancora.

In conclusione, il paradigma delle connessioni a cui si è fatto già cenno e che caratterizza la new economy della Società dell'Informazione e della Conoscenza, pone delle nuove sfide in cui ricercare l'equilibrio tra i comparti della società e dell'economia ed in cui riporre il raggiungimento degli obiettivi dell'inclusione e della sostenibilità , che sono alla base del benessere per ciascun nodo della rete sociale, tra la tradizione e l'innovazione. Le ICT, se progettate e realizzate eticamente, costituiscono lo strumento principale e strategico per facilitare la ricerca ed il raggiungimento di quell'equilibrio.

Riproduzione vietata©.